Biografia di Umberto Tozzi

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E sarà... come una danza!

La scintilla che ha portato Umberto Tozzi e Raf a voler di nuovo fare qualcosa insieme è scattata sopra un palco. Sul palco dell’Arena di Verona, dove i due sono tornati ad esibirsi insieme come ai tempi della fortunata collaborazione di fine anni ’80. Ed è soprattutto sul palco che si manifesterà il loro tornare a collaborare dopo tanti anni.

 

Siamo ormai prossimi alla partenza del tanto atteso tour che vedrà Tozzi e Raf suonare in giro per la penisola e cantare insieme i loro grandi successi che hanno contrassegnato gli ultimi 40 anni della musica leggera italiana. Un assaggio, di cosa sarà vederli di nuovo insieme, lo abbiamo avuto proprio all’Arena di Verona e, ancor di più, nella apprezzatissima ospitata dello scorso Festival di Sanremo, dove i due hanno fatto scattare in piedi l’algido pubblico dell’Ariston.

 

17 album in studio per Umberto Tozzi, 13 per Raf, un elenco “Infinito” di successi grazie ai quali è stata “Gloria” vera per entrambi. E adesso buona parte di questo immenso repertorio verrà proposto dal vivo promettendo uno spettacolo di grande musica e di grandi emozioni. Non sappiamo ancora in che modo sia stata strutturata la scaletta, in che modo i due artisti si alterneranno sul palco ed in che modo si alterneranno le rispettive canzoni. Ma è lecito e legittimo aspettarsi che le aspettative vengano soddisfatte, così come è lecito e legittimo aspettarsi delle sorprese, che secondo noi non mancheranno.

 

Il countdown, iniziato lo scorso autunno con il lancio del bellissimo singolo “Come una danza”,  è finalmente giunto al termine. E’ arrivato il momento di riempire gli spalti e cantare a squarciagola le bellissime canzoni di Umberto Tozzi e Raf, i due cupido della musica leggera italiana, che con le loro canzoni hanno fatto innamorare intere generazioni.

 

E’ arrivato il momento il momento di far ballare interi palasport come in una unica e grande danza!


28/04/2019 - Domenico

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A VOLTE RITORNANO

C’è un abbraccio, sincero, che chiude la performance di Raf sul palco dell’Arena di Verona. Come altri colleghi, ha accettato l’invito di Umberto a presenziare la festa dei 40 anni di Ti amo. Ma lui non è un collega come tanti altri, e lo testimonia proprio quell’abbraccio finale, cercato e voluto.

Un abbraccio che racconta la storia di una collaborazione importante tra due grandi musicisti. Importante per Umberto, che ha avuto in Raf un aiuto fondamentale per rilanciare una carriera che a metà anni ’80 aveva subito una brusca frenata. Importante per Raf, che ha avuto in Umberto un importante punto di riferimento, proprio mentre si stava affacciando sulla scena musicale. Non a caso ringraziamenti reciproci compaiono nelle rispettive produzioni di quegli anni ed Umberto ha più volte rivendicato il merito di aver convinto Raf a cantare in italiano dopo gli esordi in lingua inglese.

A fare da collante Giancarlo Bigazzi, produttore e paroliere sia di Umberto Tozzi che di Raf.

Ed è in seno alla scuderia di Bigazzi che nascerà il legame tra i due. Un legame alimentato da tante caratteristiche comuni, a cominciare dalle origini pugliesi, entrambi della provincia di Foggia. Due persone vicine caratterialmente, riservate, distanti dal clamore. Due persone sostanzialmente timide, che preferiscono parlare con la propria musica, al punto da sembrare spesso impacciati o distratti nelle interviste o nelle ospitate in tv. Due persone che si sono trovate, improvvisamente e loro malgrado, sotto i riflettori. Nessuno dei due infatti sognava di fare il cantante. Umberto Tozzi nasce chitarrista, Raf polistrumentista con una certa predilezione per il basso. Ad entrambi piace stare dietro, non interessa fare il frontman, anche se spesso riconosciuto talento e carisma finivano con spingerli davanti al microfono. Ad un certo punto del proprio percorso entrambi si vedevano come autori, ed i primi risultati facevano ben sperare. Ancora sconosciuti avevano infatti composto “Un corpo e un’anima” Tozzi, e “Si può dare di più” Raf. Ma ancora una volta, per via del loro talento, entrambi sono stati invitati a cantarsele loro stessi le loro produzioni. E chi li ha convinti a fare ciò ha visto lungo.

 

Un talento universalmente riconosciuto, per i due Cupido della musica italiana, tanto da portare Tozzi e Raf a scrivere pagine memorabili del pop italiano, e collezionare hit dopo hit, successi dopo successi. E ritrovarsi entrambi con una canzone che ha fatto il giro del mondo nella versione di Laura Branigan: Self Control per Raf e Gloria per Umberto. 

 

Un’ amicizia consolidata con la nazionale cantanti, dove entrambi potevano sfogare l’altra grande passione, il calcio. Un’amicizia consolidata con anni di vicinato quando entrambi vivevano alle porte di Roma, uno a pochi passi dalla casa dell’altro. Fino a quando le strade inevitabilmente si separano. Si prendono nuove direzioni, si fanno scelte diverse, private e professionali, e nonostante tutto quello che sia stato ed i successi condivisi, ci si perde. Passano gli anni, e chi spera in una nuova collaborazione tra i due resta deluso, al punto da non sperarci quasi più.

 

Poi però capita che Tozzi festeggi un anniversario importante invitando Raf. E bastano pochi minuti insieme sul palco per ritrovarsi e ritrovare le vecchie alchimie. L’emozione è la stessa di quando insieme cantarono all’Eurofestival o di quanto divisero il palco della prestigiosa Royal Albert Hall di Londra. Quel momento di magia per fortuna non svanisce a fine serata. Viene catturato in quell’abbraccio e convince entrambi che si può ancora fare un altro pezzo di vita insieme.


Domenico, 27/10/2018

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Dabadan bam bam

Relegata al ruolo di Cenerentola all’interno delle “magnifiche 3”, in primis dal suo interprete ( si sono celebrati gli anniversari di Ti amo e così sarà anche per Gloria), la canzone che esordì nell’estate di 40 anni fa aveva l’arduo compito di dimostrare che la costituita coppia di autori Bigazzi&Tozzi era di un potenziale enorme e che il successo, enorme quanto inaspettato dell’anno precedente, non fosse stato una meteora ma il primo tassello di una rispettabile discografia di livello internazionale.

La parola “TU” nella intrapresa strada della coesistenza del suono generato dalla parola che andava sovrapposto al suono della musica, non risultò particolarmente impegnativo da adottare. Grazie alla brevità, al concetto espresso in una  sola consonante e vocale e andando ad occupare uno spazio facilmente intercambiabile con l’analogo significato in altre lingue, gli autori sfornarono un altro successo che fu sia internazionale sia, data la bontà del progetto, anche intergenerazionale sfidando il tempo breve di una estate.

Il brano Tu si presentò in modo subito coinvolgente ma soprattutto gioioso con quel richiamo atavico al suono delle campane e al loro significato di festa, inchiodando nella memoria quell’incipit  fatto di Dabadan ban ban che rilegò immediatamente il Nostro nel “reparto commerciale” da parte di quei critici musicali impregnati di cantautorato d’impegno. Questi  andarono subito in tilt nel decifrare la volontà bipolare espressa nel testo consistente  nel volere allo stesso tempo un cielo sempre più sereno e  una pioggia continua e incessante e all’ubiquità tipo “caccia ai Pokemon” fatta di imprecisate posizioni non meglio definite se non con stiamo qui e stiamo là.

La firma degli autori sull’impiego onomatopeico o quasi delle parole si può notare anche nel brano Zingaro, traccia in apertura nel lato B del 33 giri (una canzone inspiegabilmente lasciata negli archivi anche nell’occasione dell’album Superstar).

Il long playing venne impaginato nei primi tre brani alla maniera di concept album dove il concetto di Tu veniva esteso dalla persona oggetto di attenzioni , in qualcosa di più grande e laico (Hey sole!) per arrivare anche  a coinvolgere un’entità  superiore dando un connotato senza dubbio più spirituale sotto forma di preghiera (Tu, domani).

L’album rappresenterà anche l’ultimo tentativo di affidare il proprio lavoro a dei strumentisti e arrangiatore “trovati in casa”. Il risultato di autocritica di Umberto nel cercare un sound più affine a quello che aveva in mente e la maturata convinzione di Bigazzi di entrare con abiti adeguati in un mercato internazionale convinse  infine quest’ultimo, che era anche produttore, di effettuare un salto di qualità con un conseguente esborso finanziario più impegnativo da affrontare in futuro. I risultati, prendendo in considerazione il brano che era il retro del singolo, “Perdendo Anna” ,rimangono tutt’ora evidenti. Pur essendo distanti solo 2 anni, la versione live inserita nel doppio “in concerto” del 1980 è incontestabilmente migliore della versione studio grazie all’apporto di Greg Mathienson. Il tutto può forse aprire scenari fantastici (nel senso di fantasiosi) su come sarebbe stato l’album Tu se il materiale della coppia Bigazzi&Tozzi avesse incontrato “gli americani” un anno prima.

Una nota di merito riguarda  la copertina, bellissima, che  illustra il significato del titolo con quella assenza  che è la vera protagonista della foto e con una aderenza tra titolo e immagine che non sarà sempre scontata nella produzione del Nostro (da notare che anche l’immagine in quarta di copertina ha in posizione centrale l’ombra quasi a confermare l’immaterialità dell’assenza).

Non a distanza di tempo ma quasi subito, grazie al notevole successo, si potè considerare questo lavoro come una scommessa vinta. Voluti con determinazione  in questo album, i risultati che ne ricavarono resero gli autori ancor più motivati ( e lo furono davvero per diversi anni) . In un’intervista dell’epoca (settembre 1978) Umberto così si espresse: “L’ambiente musicale è fatto anche di persone che aspettano un tuo passo falso per annientarti. Ma io farò di tutto per deluderli” (non ricordo le parole esatte ma il concetto. NdA). Era con queste premesse e con il loro talento che Umberto e il maestro Bigazzi affrontarono l’autunno del 1978. Ma a quel punto l’estate era già finita e un’altra storia stava per iniziare.

4/06/2018 Stefano _D                                               graphic by Stefano_D

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Sullo stare insieme

I titoli di coda iniziarono a scorrere. Si volse per pochi istanti verso di lei. Vide, per quanto fosse possibile dalla semioscurità, che anche i suoi occhi erano lucidi. In cuor suo sentì una soddisfazione: anche lei aveva provato lo stesso sentimento, avevano condiviso un’emozione reale davanti a quella che in fondo era una finzione.

Il film era terminato in modo drammatico: un bimbo di quattro anni non era riuscito a sopravvivere a una rara malattia. Vani erano stati i disperati tentavi dei genitori fino al tragico epilogo.

La sala si stava svuotando ma Sara era rimasta seduta sulla sua poltroncina. Stringeva in mano il biglietto dove vi era stampato il titolo del film e il posto numerato.

Andrea le porse il cappotto con un gesto che la invitava ad alzarsi. Lui sapeva il perché di quel comportamento. Poche settimane prima avevano perso il loro bambino. Lo gratificava il fatto di non aver detto a nessuno della gravidanza di Sara: nessuna commiserazione da ricevere in cambio di una brutta notizia da dare.

Si avvicinò a lei. Voleva stringerla a sè mentre scendevano i gradini illuminati uno ad uno da una fioca luce radente.

«Andrea..» gli disse sottovoce quando, usciti dalla platea si erano ritrovati nella hall del multisala, «…non abbiamo perso il bambino. Sono io che ho deciso di abortire». Lui si fermò. Guardò quella donna che gli parlava con una voce da pianto ma con gli occhi asciutti.

Nella sua mente Andrea rifiutò quella versione. Si sentì in colpa per non averla sostenuta abbastanza negli ultimi tempi, per essere spesso lontano per lavoro.

«Cosa dici? Non ti ricordi? Ti ho portata io in ospedale, ti sentivi poco bene. Scusami Sara. In quest’ultimo periodo ti ho lasciata sola, mi sono fatto trascinare dal lavoro ma ti prometto…». Lasciò il discorso a metà. La televisione appesa dl soffitto della hall trasmetteva immagini in diretta di un attentato avvenuto mezz’ora prima e tutt’attorno la gente era rimasta a guardare sullo schermo scene di reale disperazione fatta di fumo, sangue, sirene e luci dei mezzi di soccorso. La speaker con voce concitata rendeva il tutto più drammatico.  In pochi minuti erano passati da una rappresentazione del dolore alla realtà dello stesso anche se mediata sempre da uno schermo.

Ma per Andrea, il passaggio era anche da una realtà così come gli era sembrata ad un’altra, diversa. Sara riprese il discorso.

«Guardami Andrea, non sono depressa. Avevo abortito il giorno prima. Ho abortito perché non volevo un figlio da te….con te non sono più felice».

Andrea rimase fermo mentre lei iniziò ad incamminarsi verso l’uscita. Mentre la guardava ebbe la sensazione che gli risucchiasse tutte le forze portandosele fuori con lei. Le voci e le immagini si fecero confuse. Fissò una signora che stava guardando anche lei lo schermo della tv. Al suo fianco, probabilmente il marito, la teneva sottobraccio. Stavano commentando. Andrea riuscì a sentire mentre, indignata, diceva quanto fosse orribile quello che l’uomo riesce a fare ai suoi simili. Andrea alzò lo sguardo verso la grande porta a vetri. Sara non c’era più, era già uscita.


Stefano_D, 18.03.2018    graphic   Stefano_D


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19 Gen 2018 - Due pagine di quaderno

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DUE PAGINE DI QUADERNO

Il rumore della chiusura della cerniera del trolley sembra più accentuato nel silenzio della notte che sta per finire. Tutto è pronto per la trasferta di lavoro.

Ogni volta che dormo fuori una sorta di tristezza mista ad ansia mi assale. Poi passa subito, ma non ho mai accettato completamente il fatto a volte di dover dormire fuori per lavoro.

Mi dirigo verso la porta e scendo le scale sulle punte per far sì che il rumore dei miei tacchi non dia fastidio. Trolley in macchina, è ancora buio, faccio un respiro profondo, metto in moto, parto.

La Torino-Milano il mattino è più trafficata del solito. File di tir che provengono da Oltralpe e il traffico su ruota sempre più intenso. Mentre guido non vedo l'ora di imboccare la Gravellona Toce. Se tutto va bene in un paio d'ore sarò a destinazione, direzione lago Maggiore dove mi aspetta una giornata di lavoro lunga, domani tarda mattinata sarò a casa, questo è il pensiero che mi solleva dal sottile nervosismo che sento.

Finalmente lo svincolo dell'autostrada dei Laghi, il traffico si ridimensiona notevolmente, la mia guida è sempre attenta ma un po' meno tesa. La luce del primo mattino promette una bellissima giornata senza nebbia. Quando faccio tratti insoliti spesso ascolto la Radio dove ogni ora sento aggiornamenti sul traffico alternati a canzoni di vario genere. La mia chiavetta con la mia selezione la riservo per il viaggio di ritorno quando sarò un po' più rilassata.

La sigla di un Giornale Radio Notizie mi coglie un po' di sorpresa, probabilmente non sento neanche le prime notizie dal mondo. Poi di colpo una voce annuncia la scomparsa di Giancarlo Bigazzi. Il mondo si ferma. Ricordo solo di aver posato gli occhi sulla Radio e per istinto non so il perché, aver frenato. Ascolto la notizia, stringo il volante, rallento, guardo dallo specchietto retrovisore, non c'è nessuno, mi metto in prima corsia decelero, scuoto la testa, mi esce un 'No, Giancarlo no ...'

Di fronte a me un rullino di immagini che scorrono, io e la mia vita, diari, cuffiette, testi, zaini, macchine, scuola, vacanze, la mia vita, le sue canzoni, le sue parole, IO.

Arrivo in negozio confusa. Serena, una collega conosciuta a un corso, mi mette subito a mio agio presentandomi i colleghi con cui passerò le prossime ore. Sorrido, ringrazio, faccio passare le ore facendo il mio dovere. Arriva la sera e mi dirigo nell'hotel dove dormirò., Chiamo Serena, una scusa, un mal di testa:, non cenerò fuori con i colleghi., Voglio rimanere da sola, anzi vorrei essere a casa mia.

Dal trolley tiro fuori una lunga felpa, la indosso, così come le mie scarpe da ginnastica, un quaderno con una matita in mezzo, un libro. Sono gli unici oggetti che metto sul mio comodino, non so il perché ho lasciato il computerino e la chiavetta internet a casa. Stasera avrei avuto bisogno di parlare con qualcuno, di essere collegata con il mondo. Nel taschino del trolley sfilo il mio Mp3, scendo alla reception. C'è un signore. Ha più o meno l'età di mio padre. E’ il proprietario della pensione. Mi chiede se ceno. Rispondo di no, ma chiedo un caffè, prendo sul bancone la tazza. Mi volto e vedo una bellissima vetrata sul Lago. Cerco di aprirla ma è chiusa a chiave. Il signore gentilmente mi chiede se voglio uscire. Rispondo di sì, che ho bisogno di prendere un po' d'aria. Esco in un bellissimo porticato di legno: ci sono dei tavoloni appoggiati al muro. Sicuramente in primavera ed estate qui è pieno di turisti., Mi siedo su uno dei tavoli tiro su il cappuccio della felpa e poi per istinto faccio il gesto che da piccola e da ragazza mi è costato sgridate e rimproveri: tiro le maniche della felpa il più giù che posso coprendomi tutte le mani. L'ho sempre fatto quasi come gesto di rifugio, di ribellione. Sformavo le maniche dei miei maglioni e lo faccio tuttora. Nonostante lo spessore della felpa sento la tazza del caffè ancora calda e la stringo forte. Nella tasca il mio Mp3 è già pronto con il programma 'Casuale ‘. Mi è sempre piaciuto lasciare al caso la canzone di un determinato momento. Tengo premuto il tasto ON inizia Non va che volo, una stretta al cuore, la voce di Umberto, le parole, quelle parole, IO, la mia vita, IO.

Intorno a me le Alpi, nonostante il buio. Sono così bianche per la neve che si specchiano nelle acque scure del grande lago. Le luci dei paesini sono appoggiate e silenziose. Trovo che i posti di lago in autunno ed in inverno siano bellissimi. Guardo in alto il tappeto di stelle. Qualcosa di caldo mi scorre sul viso, Inizio a piangere, ho bisogno di piangere, non mi vede nessuno, lo faccio sussurrando le parole di quella canzone nelle cuffiette, con la mia tazza di caffè tra le mani. Mi viene in mente che c'è una canzone che dice " Qui non c'è mai nessuno che mi parli di te ". Ecco, io avrei bisogno di qualcuno con cui parlare di te Giancarlo, dire che tu hai scritto ciò che fa parte della mia vita, le tue frasi, le tue parole, IO, Vorrei dire al mondo che non è giusto, che non ci ho mai pensato , che dovevo dirti Grazie Giancarlo, che non ho fatto in tempo, che non potrò più farlo, Prometto davanti ad una stella che parlerò di te, che nel mio piccolo ti ricorderò. Questo te lo devo, te lo dobbiamo.

Rientro, salgo le scale verso la mia stanza, apro quella porta, un luogo a me sconosciuto. Nulla mi appartiene in quel posto, gli occhi si posano su quel quaderno, forse scriverò, chiudo la porta dietro di me.

Ho freddo. Che cosa non va?

Per Angela, 19 gennaio 2012

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