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Gennaio 24, 2017, 11:58:00
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![]() "Si può dare di più... 4.25 minuti di una seconda eternità"
Quando si guarda alla carriera, ormai pluridecennale di Umberto Tozzi, si è soliti distinguerla in due periodi. Quello che va dagli esordi di “Donna amante mia” del 1976 a “Gli altri siamo noi” del 1991, 15 anni e 10 album inediti e che corrispondente al lungo e fortunato sodalizio con Giancarlo Bigazzi. E quello che va da allora ai giorni nostri, ovvero 26 anni e 7 album inediti. Ma il momento della separazione artistica da Bigazzi non rappresenta l’unico spartiacque nella carriera di Tozzi. Un altro momento importante che segna un prima ed un dopo è indubbiamente il Festival di Sanremo edizione 1987. E se quest’anno ricorre il quarantesimo anniversario dal grande exploit di “Ti amo”, non possiamo dimenticare che ricorrono anche 30 anni dalla vittoria con il trio. Se da una parte “Ti amo” segna la nascita della stella Umberto Tozzi, considerando il poco successo commerciale dell’esordio, è indubbio che “Si può dare di più” segna la rinascita dopo un periodo meno felice, contraddistinto da produzioni poco ispirate e soprattutto da un momento personale molto difficile. Ed allora, in un epoca dove era molto più difficile reperire informazioni sui propri beniamini, erano in molti tra i suoi fans a chiedersi dove era finito Umberto Tozzi e cosa stava a significare quel anomalo periodo di silenzio. Ricordiamo infatti che dall’inizio della carriera non c’è stato anno in cui Tozzi non abbia pubblicato un nuovo lavoro, compreso quel 1983 dove anche in assenza di un nuovo album Umberto ebbe comunque un discreto successo estivo con la hit “Nell’aria c’è”. Per cui bastò far perdere le tracce di sé per soli due anni per gettare nel panico il suo pubblico più affezionato. Nel 1987 invece la carriera di Tozzi prende nuovo slancio. Alla vittoria del Festival segue un altro successo nazional popolare con “Gente di Mare” per poi chiudere l’anno con un album di grande impatto come “Invisibile”. I successi dell’87 sono tanti e talmente importanti da portare Umberto ad esibirsi per primo tra gli artisti italiani in un tempio mondiale della musica come la Royal Albert Hall di Londra, esibizione che resterà per sempre grazie al doppio live omonimo. La vittoria a Sanremo non ha solo il merito di consolidare il rapporto con i fan che lo hanno seguito dai primissimi successi, ma consente ad Umberto Tozzi di acquisire anche nuovi seguaci che lo scoprono in quell’occasione e che riescono a riscoprire il suo vecchio repertorio grazie all’antologia “Minuti di un’eternità”. Questa raccolta, che nel titolo riprende un verso di “Si può dare di più”, non è un greatest hits nel senso più classico del termine. Mancano infatti alcuni dei successi più grandi come “Tu”, “Stella stai” e soprattutto “Ti amo”. Tuttavia la presenza di brani meno noti, permettendo al repertorio di Tozzi di tornare ad imporsi tra vecchi e nuovi fan. Dopo la vittoria a Sanremo la stella di Tozzi torna a brillare, ed Umberto sarà protagonista indiscusso della scena musicale italiana per almeno un altro decennio a seguire. “Si può dare di più” diventa una canzone manifesto, usata per tantissime manifestazioni a scopo benefico, a partire dalle partite della nazionale italiana cantanti, della quale divenne da quel momento l’inno ufficiale. Sanremo 2017 segna il trentesimo anniversario, indubbiamente un momento fondamentale per la carriera di Umberto Tozzi, ma anche uno dei momenti più significativi nella storia del festival. Sarebbe stato bello se qualcuno degli organizzatori avesse proposto una storica reunion del trio sul palco, ma questa è un’altra storia…Domenico, 24/01/2017
23 Set 2016 - Il Grido: ricordi di vent'anni fa. (Filippo)
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Settembre 23, 2016, 19:31:00
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![]() IL GRIDO ...VENT'ANNI DOPO
Filippo, 23 settembre 2016 Graphic by, Stefano_D
14 Lug 2016 - I capolavori nascono dalla lungimiranza
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Luglio 14, 2016, 22:22:00
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![]() Foto: TOZZI TALKS TURKEY -Umberto Tozzi, lett, who co -wrote the Laura Branigan hit, "Gloria," visits with Leeds Levy, center, president of MCA Music, his domestic publishing company, and his manager, Franco Dal Dello of Sugarmusic, Italy. Branigan also covers his tune "Mama" on her new LP. Da Billboard del 16 aprile 1983.
I CAPOLAVORI NASCONO DALLA LUNGIMIRANZA
Nella tarda primavera del 1982 Enzo Bearzot convocò per i Mondiali in Spagna Paolo Rossi. Aveva solo tre partite all'attivo nel campionato appena termina in quanto doveva scontare una squalifica (poi ridotta). Era il periodo del cosiddetto “calcioscommesse”. Bearzot lo preferì a Pruzzo, capocannoniere per il secondo anno consecutivo. Con il senno di poi oggi possiamo dire che ci aveva “visto lungo”, ma le polemiche gli arrivarono da tutte le parti. Si arrivò al punto che Zoff, come capitano annunciò che i giocatori erano in silenzio stampa come risposta alle critiche continue.
Sette anni prima dei Mondiali in Spagna, Franco Daldello con un guizzo lungimirante decise di far conoscere due persone che mai prima si erano incontrate, intuendo che l’unione di quei due elementi potesse dare buoni frutti. Uno era il maestro Bigazzi, con alle spalle già diverse hit memorabili. L’altro era un giovane musicista che agli occhi del manager della CGD si era fatto apprezzare più che dell’abilità strumentale per le sue doti di autore avendo vinto come tale l’edizione di Canzonissima 74. I due si ritrovarono a Firenze in casa Bigazzi. Umberto ricorda che ci arrivò con la sua 127 e “provarono a vedere cosa sarebbe successo”. Dopo una decina di giorni ebbero del materiale che riportato a Milano venne giudicato interessante dai vertici della CGD. Non solo, ma la voce di Umberto nei provini piacque al punto che proposero al Nostro di fare un album cantando lui stesso i suoi lavori. Fu così che esattamente 40 anni fa arrivò sul mercato il disco di un cantautore che non sapeva ancora se suonare nelle band, tuffarsi per sempre nella carriera artistica personale oppure trovarsi un lavoro più “normale”. Il disco non ebbe successo, vendette cinquemila copie e per mia fortuna, una copia la trovai ancora con il cellophane cinque anni dopo. Ma ancora una volta una lungimiranza, questa volta di Alfredo Cerruti (a quel tempo direttore artistico della CGD e componente degli Squallor ), permise che un brano contenuto in quel primo album potesse avere una seconda possibilità e affidato a Fausto Leali (poi ripreso anche da Mina), divenne un discreto successo nazionale. Nell’estate del 76 quindi, nelle radio libere che iniziavano a saturare l’etere, nell’aria ogni tanto risuonavano le note di una canzone scritta dall’inedita coppia Bigazzi/Tozzi il cui titolo era un imperativo rivolto al futuro, e nella sua innocenza, lungimirante: “…io camminerò, tu mi seguirai…” Stefano, 14/07/2016 03 Giu 2016 - Al di là di questo addio
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Giugno 03, 2016, 13:05:00
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AL DI LA' DI QUESTO ADDIO Eppure non ho sognato. A volte mi sorprendo a pronunciare questa frase per strada, come se sentissi la voce di un altro. (Patrick Modiano)
Mi guardo intorno e incrocio gli sguardi degli altri passanti. Chissà se gli altri si accorgono quando la sento, perché, quando succede, rallento i miei passi e fisso lo sguardo nel vuoto. Al lavoro non si accorgerebbe nessuno di questa cosa: mi metto a guardare un punto invisibile sulla scrivania. I miei colleghi non ci fanno caso, almeno credo sia così. “Mi mancherai, immensamente…” E una sera, seduti in macchina, sotto l’insegna del supermercato che ci illuminava di rosso e blu, mi dicevi che basta, bisognava finire qui. Ne hai avuto di coraggio, più di me, questo è sicuro. Poi con le lacrime agli occhi, ti sei voltata e hai visto le mie. Forse in quel momento ti sei resa conto che no, non era possibile finire, non così, non in quel modo almeno, perché ancora c’era qualcosa da tenere vivo. Invece sapevo che la decisione l’avevi già presa. Quello era stato solo il primo tentativo. Come quegli atleti del salto in alto che si concentrano, scattano e quando sono lì per saltare, capiscono che no, non è tutto perfetto. Ma non per questo rinunciano. Ritornano sui loro passi senza voltarsi indietro, guardano verso il basso perché è da li che raccolgono il coraggio e si rimettono in posizione. “Mi mancherai, immensamente…” Domenica pomeriggio ero al mare, anche se è ancora inverno. Quando si vuole fuggire da qualcosa, ci si mette in macchina e si corre fin dove la strada finisce. La strada termina al mare. Camminavo lungo la spiaggia. Più lontano, da un gruppo di ragazzi, mi arrivavano le loro risate. Poi arrivò il tramonto. I cieli diventarono improvvisamente rosso sangue, il sole lo si poteva guardare senza fastidio, ma quello che sentivo erano brividi. Brividi di tristezza, non di freddo. Come un dolore lancinante nel petto, mi si bloccò qualsiasi parola volessi pronunciare, qualsiasi altro passo volessi fare, qualsiasi direzione volessi prendere. Mi fermai, mi appoggiai al muretto come in preda ad una stanchezza che non avrei saputo giustificare. Lingue di fiamma coprivano la spiaggia e la città che se ne stava sullo sfondo e sembrava coperta da una tela blu traforata dalle poche luci degli hotel ancora deserti. Mi passò vicino una coppia a passeggio, non si erano accorti che, come impaurito, mi ero fermato. Meglio così. E sentii, solo io, quella voce, quella frase, come uscita da un’onda improvvisa, che divenne urlo, poi schiuma, per sparire poi lentamente nella sabbia. “Mi mancherai, immensamente…” 3/06/2016 Stefano_D 12 Apr 2016 - Luci e ombre
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Aprile 12, 2016, 20:26:00
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![]() LUCI E OMBRE Una luce fioca, che pulsa come una nebulosa nello spazio nero, mi fa capire che ho gli occhi aperti. Sento delle voci lontane, come un sottofondo. Non riesco a sentire il mio corpo, a muovere le mani e le gambe. È come se non lo avessi più, come se fossi fatto solo di pensieri. Un’ ombra è vicino a me. Non so chi sia, ma sembra che si prenda cura di me, almeno lo spero. Chiudo gli occhi con una certa fatica. Il buio ora è totale. Li riapro dopo un tempo imprecisato. Sulla parete di fronte il sole entrando da una finestra proietta fasci di luce paralleli: sono in una stanza quindi, ma non è la mia camera. Un’ombra si avvicina, è un’ombra chiara. Si avvicina a me, mi afferra un braccio, almeno così credo. Non so cosa stia facendo, ma quasi subito si allontana. Richiudo gli occhi. Buio. Le voci in sottofondo piano piano si spengono. Quando riapro gli occhi fatico a capire se luce nella stanza è quella del giorno o di una lampada. Vorrei sapere quanto tempo è passato, se ho dormito per ore oppure solo per pochi minuti. Mai come ora avrei bisogno di un orologio. D’istinto guardo il mio polso sinistro ma vedo solo un braccio disteso e un liquido trasparente che mi entra nelle vene: attraversa un ago fissato con dei cerotti. L’ombra che mi stava vicino è tornata: è mia madre. Mi inumidisce le labbra e sembra che voglia raccogliere le parole che non riesco a pronunciare. Provo a sorridere. Non so se riesco a farlo, se lei lo capisce. Spero di si. Mi dice delle cose ma percepisco solo il suo tono rassicurante. Scorgo un accenno di sorriso. Non riesco a rimanere sveglio. La stanchezza mi fa chiudere gli occhi. Buio. Stringo il volante. C’è Stella seduta accanto e davanti abbiamo una domenica al mare e una vettura che procede lenta. La sorpasso per non perdere tempo. Una macchina sbuca da una strada laterale. D’istinto chiudo gli occhi e affondo il pedale del freno. Una frenata lunga che sembra non finire mai. Arriva un botto fortissimo e tutto attorno è come un vortice. Le lamiere stridono come versi sgraziati di airone. Piovono gocce di vetro. Il vortice si calma e cala un silenzio irreale. Lo interrompe un gocciolio di un qualche liquido. Vorrei chiamare Stella ma la voce non mi esce. Lo sterno è schiacciato da una massa di plastiche scure dalla quale escono fili rossi e gialli. Delle macchine si fermano, voci che chiedono: «Siete vivi?» Non riesco proprio a parlare a farmi sentire da quelli che stanno intorno a me. Sento sempre più voci. Ne distinguo una che dice: «Qui ci vuole la fiamma ossidrica». Da lontano mi arrivano le sirene dell’ambulanza e penso che mai come in questa circostanza, quell’urlo acuto e penetrante possa darmi sollievo. Le cesoie massacrano le lamiere e tirano fuori Stella. In quella confusione sento due parole: “telo” e “morta”. Ho ancora gli occhi chiusi e su questo letto d’ospedale mia madre allunga la mano e con un fazzoletto mi asciuga le lacrime.
12/04/2016 Stefano_D (ah ecco gli alberi) |