15 Feb 2015 - PEZZI DI ALTRI NOI
Scritto da Lorenzo
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Febbraio 15, 2015, 19:47:00
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![]() Pezzi di altri noi
E’ una di quelle mattine che solo certe giornate d’inverno ti sanno regalare. L’aria è tersa, fredda, ma il cielo è azzurro, limpido, c’è il sole ed una luce bellissima. Il blu del cielo e del mare si abbracciano in una sottile linea d’orizzonte che oggi si riesce solo ad immaginare. E’ una di quelle giornate in cui ringrazio il destino per avermi fatto arrivare in questo angolo d’Italia. Ad aiutarmi nel trovare il confine tra cielo e mare ecco spuntare all’orizzonte la sagoma del traghetto della Superfast Ferries in arrivo dalla Grecia. Sorrido… sorrido pensando al disappunto con il quale avevo accettato il trasferimento da Trieste a Bari. Già lasciare la mia Roma per andare al Nord-Est fu tutt’altro che facile e mi trasferii già allora con un misto di tristezza e paure nel cuore. Si paura di non ritrovarmi in un'altra città, in mezzo a gente diversa da me. Ed invece Trieste fu una piacevole sorpresa. Con l’eleganza delle sue piazze, con i suoi caffè storici del centro, Trieste ha un atmosfera mitteleuropea che mi ha conquistato. Ma non solo, a Trieste si respira forte aria di Est, dove questo termine evoca la storia. Terra di confine, crocevia di popoli che si mescolano, e trovi testimonianza di questo nella vita quotidiana. Nella cucina ad esempio, dove piatti della tradizione italiana si mischiano a piatti di origine austriaca o slava. D’altra parte i balcani e le musiche gitane alla Goran Bregovich sono dietro l’angolo, le avverti più vicine degli Appennini e delle melodie nostrane.
Adesso sono a Bari. Gli stessi pregiudizi che mi ero portato in valigia trasferendomi al settentrione me le sono portate in questo viaggio nel meridione. Ma così come Trieste anche Bari è stata una piacevole scoperta, smontando tutti i luoghi comuni che mi portavo dietro. “Bari ti accoglie” recitavano i manifesti dell’ufficio turistico locale quando arrivai in aeroporto, ed effettivamente così è stato. E mi sono trovato bene anche a Bari, come a Trieste. Anche questa terra di confine, terra di passaggio, ce lo racconta la storia. E’ vero che qui il confine naturale è il mare, però anche qui si guarda ad Est anche se non ti vengono in mente guerra fredda e blocchi contrapposti, gitani, Likrofi e Gulasch. Dalla Puglia, guardare al mare e pensare cosa c’è oltre ti fa venire soprattutto in mente l’Oriente. Terre lontane, mercanti di spezie, gente dalla pelle scura, olivastra.
Il traghetto è ormai entrato in porto. Teresa, la mia collega degli uffici portuali mi porta con altrettanta puntualità il caffè e me lo porge sorridendo. Adesso insieme assisteremo al solito spettacolo del traghetto che si svuota la pancia piena di vetture ma soprattutto pullman turistici e camion. E sappiamo bene, io e Teresa, quanto questi traghetti sono “vettori” di disperati che nascondendosi sotto i grandi mezzi, provano ad arrivare nel nostro paese. Molti provano a scappare via appena il pullman o il camion ha lasciato la nave, rischiando di essere scoperti dalla vigilanza del porto, altri aspettano che i mezzi siano definitivamente fuori in strada. Sono per lo più asiatici, in gran parte provenienti dall’Afghanistan o dal Pakistan. La loro storia è quella ben raccontata nel libro “Nel mare ci sono i coccodrilli” di Fabio Geda. Ognuno di loro infatti potrebbe essere Enaiatollah, il protagonista. Viaggi lunghi ed interminabili, oltre che costosissimi e soprattutto molto pericolosi, attraverso l’Iran, la Turchia e la Grecia, rischiando più volte di non poter proseguire. E poi, per chi ci riesce, il sognato sbarco nella Europa occidentale, per arrivare in Italia o molto più spesso per proseguire oltre e raggiungere parenti o amici in altri paesi del Nord Europa.
Bevo il caffè e guardo Teresa. Lei non è come me. Lei è del posto, di “Bari vecchia” come orgogliosamente tiene a sottolineare, vantandosi di aver giocato a calcio con Antonio Cassano nei prati che circondano il castello normanno-svevo quando erano entrambi bambini. Tuttavia il suo volto è una sintesi di questo posto e con i suoi lineamenti è indubbiamente figlia di questa terra, dalla quale sono passati in molti e lei potrebbe benissimo avere antenati spagnoli o discendente di qualche mercante di spezie venuto dal lontano oriente. Il caffè è finito, torno al lavoro.
Domenico, 15/02/2015 graphic by Stefano_D 03 Gen 2015 - Al Night (di Guido Guglielminetti)
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Gennaio 03, 2015, 16:16:00
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![]() Quello che segue è un racconto preso dal sito di Guido Guglielminetti
che, come è noto ai fan di Umberto Tozzi, è stato il suo bassista nei primi dischi. La storia riporta aneddoti interessantissimi di quel
periodo della fase artistica del Nostro e la dice lunga sulle peripezie
che i fantastici giovani del '51, '52 hanno dovuto attraversare prima di
trovare la strada giusta per la loro vita di musicisti professionisti.
La foto, inedita, che accompagna il racconto è stata gentilmente inviata
ad Attimi dallo stesso Guido Guglielminetti che ringraziamo per la cortese disponibilità. AL NIGHT... Non eravamo sicuramente un gruppo da Night, ma secondo chi
ci fece la proposta, eravamo talmente bravi che non avremmo avuto problemi.
Secondo me si sbagliava. Sto parlando del 1970 più o meno. Eravamo il gruppo di Franco Tozzi, fratello
maggiore di Umberto, gli “OFF SOUND”: Mario Bosio: organo Hammond (pesava una
tonnellata, non Mario, l’Hammond!) Roberto Cohen: batteria, Umberto Tozzi:
chitarra e voce, Guido Guglielminetti: basso.
Racconto di Guido Guglielminetti http://www.guidoguglielminetti.com/ 20 Dic 2014 - …nell’attesa del Natale che verrà …(non sarò più solo)
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Dicembre 20, 2014, 13:13:00
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…nell’attesa del Natale che verrà …(non sarò più solo) Ore 17.00 del 23 Dicembre. Con un ora di anticipo Carlo spegne il pc ed esce dall’ufficio. Si è fatto dare un permesso perché come al solito si è in ridotto all’ultimo momento per i regali. “Niente regali quest’anno!” era il ritornello che girava in casa già dalla fine di Novembre a causa di crisi economiche, Imu, Tasi e tutto il resto lasciando poco spazio ed entusiasmo per i regali di Natale. Regali che spesso si rivelavano inutili o ricevuti con poca euforia. Ma Carlo non era d’accordo: Natale senza regali non è Natale. Un pensierino, per quanto piccolo, andava fatto, e pazienza se non ne avrebbe ricevuti in cambio. Li faceva per il piacere di farli. Evidentemente
non era l’unico a pensarla così, nonostante il periodo poco felice Via Appia
era comunque nel solito caos isterico da
shopping prenatalizio. Macchine in doppia fila, vetrine accattivanti, gente che
entrava ed usciva dai negozi con le buste piene. E dopo un autunno tiepido il
primo vero freddo dell’inverno aiutava a creare la giusta atmosfera, senza
trascurare il contributo dato dall’odore di caldarroste nell’aria e dai dolci
natalizi di ogni tipo che invitavano al sospiro ogni volta che Carlo passava
davanti ad una pasticceria.
La
Feltrinelli era il luogo giusto dove poter trovare qualcosa per accontentare tutti:
tra libri, cd, dvd, video games e gadget vari avrebbe trovato il giusto
pensierino per gli amici più cari ed i parenti più stretti. Dall’elenco dei
destinatari mancava una persona, dopo qualche anno Carlo tornava a dover
trascorrere le festività natalizie nella condizione di single. Questo gli
metteva un po’ tristezza e soprattutto temeva di non sopravvivere a tutta
quella vera o presunta euforia che
girava intorno. Era solo già da un po’ e
sembrava non soffrirne particolarmente, ma gli
creava qualche imbarazzo non essere felice in un periodo dell’anno in cui
sembra che non si possa non esserlo.
“Ancora
impegnato con gli ultimi acquisti alla Feltrinelli?”, fu questo sms a
distoglierlo dai suoi tristi pensieri mentre dubbioso sfogliava un libro di
ricette che pensava di regalare alla sorella. E’ strano che Carlo riuscì a
sentire il “Bip Bip” del telefonino, il cellulare era nascosto in una tasca del
giaccone. Riuscire a sentirlo non era facile, tra il vocio delle tante persone
che affollavano il negozio ed i brani di Umberto Tozzi che si ascoltavano in
sottofondo per pubblicizzare il suo cofanetto natalizio da qualche giorno in
vendita. A proposito, quel doppio CD/DVD live era il regalo ideale per suo
cugino Domenico che non ha mai nascosto la sua passione per l’autore di Gloria.
Il
messaggio era della sua collega Milena. Cosa ne sapeva lei della Feltrinelli?
pensò Carlo mentre la bocca curvava in un sorriso di compiacimento. Ora
ricordava di averglielo detto lui stesso poche ore prima durante una breve
pausa caffè in ufficio. Improvvisamente l’umore di Carlo cambio, i suoi
pensieri d’incanto non erano più tristi. Qualcuno stava passando una mano di
rosso natalizio al mondo grigio e malinconico che lo
circondava solo fino a pochi minuti fa. Milena
non usciva più dalla sua testa. Lei che con il Natale fa una cosa sola, ama tutto ciò che con questa
festa ha a che fare. E’ lei che ogni anno si offre di addobbare l’ufficio, di
acquistare le cartoline d’auguri – e ne trova sempre di originalissime – per i
fornitori così come di confezionare i cesti per i clienti. Qualche giorno fa,
durante un’altra delle tante pause caffè condivise, Milena confidò a Carlo il
sogno di una vita: un viaggio in Lapponia per vedere il villaggio di Babbo
Natale! Milena aveva da poco superato la boa dei 40 anni ed aveva anche lei
qualche dispiacere sulle spalle, ma quando parlava di Natale aveva l’entusiasmo
contagioso di una bambina. Fu così che Carlo si fiondò al reparto Turismo e
prese una guida turistica della Finlandia. Poi rispose al messaggio di Milena
“Sì, sono ancora alla Feltrinelli, ed ho preso un pensierino anche per te”. La
risposta non tardò ad arrivare “Un pensierino per me? Ma tu sei pazzo! Uffa…
ora devo aspettare che riapre l’ufficio per averlo…”. Già, Carlo e Milena si
sarebbero rivisti soltanto dopo Natale, ma ormai era evidente che c’era una
soluzione anche a questo problema. Carlo fotografò la copertina della guida con
il telefonino ed allegò la foto inviando un nuovo sms a Milena “No, non ti
faccio aspettare, domani ti vengo a trovare e te lo porto. E se sei sempre
dell’idea di andare in Lapponia magari ci andiamo insieme!”
Domenico, 20/12/2014 graphic by Stefano_D 01 Dic 2014 - Hey Joe....
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Dicembre 01, 2014, 21:14:00
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![]() HEY JOE... Caro Joe....solo io, Mao, Fortu e Gianfra, sappiamo quanti momenti di Gloria abbiamo vissuto insieme a te,girando il mondo nei vari Tour che abbiamo fatto, negli anni piu' belli e importanti della mia carriera. Dalla sala prove a Tabiano Castello all'Australia, suonando insieme nei piu' bei posti del mondo, dall'Albert Hall di Londra all'Opera House di Sidney. Gli altri non sanno quanto tu sia comunque stato il nostro faro guida, per la tua professionalita' e l'impegno che hai sempre messo affinche' i nostri concerti fossero perfetti e piu' Rock possibili. Perche' quella e' sempre stata la tua anima, sia nella vita che nella professione. Sei poi stato per noi, l'unico "Navighetor" in tutti i viaggi che abbiamo fatto insieme. Solo tu sapevi anche in Aereo, passando sulla Groenlandia quanti abitanti vivevano e come, 10.000 metri sotto il nostro aereo che ci portava chissa dove......!!!! Quanto abbiamo viaggiato insieme.....!!!! Quanto abbiamo riso e ci siamo divertiti insieme.... Per me, Mao, Fortu e Gianfra eri il nostro riferimento,anche se spesso il nostro gioco era come successe a New York, cercare di cambiarti la combinazione della tua valigia, per mandarti nel panico al momento dell'imbarco, visto che li avevi il tuo passaporto......!!!! Eh....si Joe.....tante ne avrei da ricordare......!!!! E da raccontare.....!!!! Ti ho sempre voluto tanto bene.....e non solo io.....!!!! Starai sicuramente meglio dove sei, lasciando a noi il compito di piangere, perche' anche se ci vedavamo poco, tutti noi abbiamo sempre parlato di te, ricordandoti sempre con tanto affetto come per caso e' successo oggi, ero con Monica, che mi ha dato questa triste notizia, con sua mamma Rina e con la sorella di Monica , Emanuela. Persone con le quali anche tu hai passato goliardicamente tanti bei momenti. Ci ritroveremo su un palco in Paradiso Joe. Tienimi un posto come chitarrista Rock....naturalmente....!!!! Tuo sincero amico Umberto Tozzi. 23 Nov 2014 - E invece...
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Novembre 23, 2014, 10:39:00
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![]() E invece… Ero al secondo, forse terzo bicchiere di Cynar, non saprei. Non mi mettevo certo a contarli. Diluito con acqua tonica e una fetta di limone, s’intende. Lo consideravo un amaro alle erbe, una sorta di medicinale. Più lo bevo, pensavo, meglio sto. Non mi sbagliavo, stavo bene, mi sentivo bene. Insomma, lei notò che stavo per prendere il terzo bicchiere e diventò seria. Mi misi a parlare di carciofi. Forse il discorso era caduto sulla politica, su chi ci rappresentava, dei carciofi appunto. Forse era semplicemente chiacchierare, dire cose senza senso come più mi era facile. Ora in quel locale avevo qualcuno con cui parlare. Eravamo all’inizio della storia e iniziavamo a conoscerci. Mi chiese di spiegarle la differenza tra destra e sinistra. Non so cosa centrassero i carciofi. Ma come potrei farle capire cosa sono per me i progressisti che si comportano da conservatori? E i conservatori che pensano solo a quello che è loro, facendoti credere che è anche tuo? “Piuttosto” le dissi, cambiando argomento,” qual è il cardo e qual è il decumano? Non me lo ricordo mai. Per me il cardo è il nord/sud come il cardo, il carciofo appunto che se ne cresce in verticale! Come quasi tutte le piante, perché ci sarebbero le tappezzanti che…. come le orchidee…”. Avevo anche pensato a una varietà di rosmarino ma non lo dissi, già mi sembravano troppe le cose che dicevo e che non risultavano collegate tra loro. Lei si mise a ridere. Era bellissima quando rideva. Avrei voluto vederla sempre cosi felice e, di più, esserne io la causa. Anche solo per osservare quella curva del sorriso che le sue labbra prendevano a forte velocità.” Ma no!”, mi rispose “ Si dice cardo perché deriva da cardine, quello dei portoni che lo bloccano con due aste di acciaio verso il soffitto e il pavimento,…. nord/sud…. in questo senso…”. “Potenza del liceo classico” le dissi preparandomi a ricevermi uno “scemo” che, da come me lo diceva, suonava come un “grazie” a un complimento nascosto in una battuta di cellophane. Un “grazie” bellissimo, specialmente se detto da quelle labbra. Le diedi un bacio. La trovavo irresistibile. Mi allontanò il bicchiere, mi prese sottobraccio e uscimmo dal locale. Mi fece promettere che se avevo sete, solo lei doveva essere la mia acqua.” Magari non proprio acqua!”, le dissi. “Piuttosto quelle cose colorate che bevi tu, quei mix di frutta e carote dove ci metti il ghiaccio d’estate”. Che quando gliele portavano le dicevo sempre “Muoviti a berlo che freddo il minestrone non è più buono!” Io abbandonai i miei amari scuri alle erbe con fette di acido incastrate sul bordo. Li barattai per i suoi occhi chiari, per la sua dolcezza, i suoi piccoli e grandi guai che ogni settimana irrimediabilmente attirava. Stavo bene. Ma sapevo anche che il mio benessere era un’anomalia. Di quella storia, bella e triste come un film romantico, mi era già apparso il finale. Solo a me. Non era bello per quanto mi riguardava perché rimanevo solo e lei se ne andava felice con un altro. Non so se fosse questa cosa che mi bloccò quando lei iniziò ad allontanarsi. Si allontanò veramente. Piccoli segnali, giorno dopo giorno, come piccole ma troppe crepe che ti fanno capire che l’edificio è costruito male e allora è meglio allontanarsi perché non è più sicuro. Ti può travolgere e forse non usciresti più. Chiunque altro sarebbe corso da lei, avrebbe bussato alla sua porta, l’avrebbe implorata di ritornare, riempirle di promesse che però sarebbero state come cene raffinate servite fredde a una persona senza più appetito. Così quando successe, perché tutti i film arrivano a una fine, lasciai che le cose accadessero. Come se tutto non capitasse a me ma a un altro del quale non mi importava poi granché. Rimasi dentro a quell’edificio pericolante e inevitabilmente soffrivo. Cercavo di convincermi che sarebbe tornata, che con quello lì non avrebbe funzionato. “Domani mi chiama, vedrai” mi ripetevo. Ma quando si parla da soli, soli forse lo si è già. Ora faccio i conti. Settembre se ne è andato senza quel domani dove lei si fa viva, mi chiede come va e tutta la sua distanza svanisce come un brutto sogno dal quale si cerca di svegliarsi. E il dolore è solo di quell’altro, non più tuo. È passato un anno da quando l’incontrai. Sono di nuovo qui, seduto sullo sgabello dove ci conoscemmo, circondato dal vociare che il locale offre a quest’ora. Forse non sono nel posto adatto considerando che me ne sto muto mentre tutti parlano con tutti. Ma almeno non sono solo, almeno è così se mi guardo intorno. Abbasso subito lo sguardo e fisso le mani. Stringono l’amaro, la medicina che non prendo da allora. Lo butto giù in pochi sorsi. So che si troverà a suo agio nelle vene, dentro di me, colme come sono di amarezza che mi circola spinta dal cuore. Quello che vorrei adesso è averla ancora qui di fronte. Vorrei parlarle, magari non come un tempo, se fosse possibile anche solo per un minuto. Vorrei parlarle mentre mi sorride, mi prende la mano e mi allontana da questo piccolo cimitero di bicchieri. 23.11.2014, Stefano_D graphic by Stefano_D |